Cultura

Federica Loredan: una delle migliori performer nell’ambito della body music

Oggi su Siing cercheremo di scoprire il mondo dell’artista Federica Loredan

Siamo a Venezia, Estate 2018, Isola di Ca Roman. Piccola Zoe è la bambola preferita di mia figlia in quel momento. Piccola Zoe è malata, ha la febbre, cosa fare in mezzo alla laguna, momenti di panico ma… un attimo, pare proprio che con noi ci sia una dottoressa speciale che può curarla ascoltandole il cuore e il respiro con uno stetoscopio/cinta e dandole una medicina potentissima, una caramella al miele.

La Dottoressa di Piccola Zoe che ho incontrato in quell’occasione è diventata una cara amica, si chiama Federica Loredan ed è senza alcun dubbio la migliore performer italiana nell’ambito della Body Music, forte di un percorso personalissimo che parte dalla danza, passa per l’Africa e insieme si unisce alla body percussion.

L’ho incontrata per SIING e le ho fatto qualche domanda.

Ciao Dottoressa Federica Loredan, grazie della disponibilità, partiamo dall’inizio, quali sono le tue origini?

Le mie origini. Beh la danza mi ha abitato da sempre. E non uso questo verbo a caso, era proprio una necessità, un richiamo, più avanti è stata una cura, una compagna, ma mai me ne sono separata e mai ho avuto la sensazione di averla scelta, ma sempre che fosse la cosa giusta e normale da fare: darle spazio. Così ho cominciato come tutte le bambine dei miei anni tra tutù rosa e imitando davanti alla tv i balletti di Fantastico, poi ho assaggiato un pò di tutto soprattutto perchè il mio corpo non era proprio fatto per la danza classica.

Quando sono arrivata alla break dance e all’hip hop da adolescente è stato come mettermi un abito comodissimo, in cui mi sono subito riconosciuta e da lì tutto ciò che ci gravita intorno andando a ritroso dalla danza urbana, alle social dances, al tap fino alle danze africane. Anche l’Africa è sempre stata una presenza forte e “naturale” in qualche modo.

Da un lato mi sono avvicinata da un punto di vista culturale e antropologico per capire cosa c’era dietro alle “mie” danze, dall’altro ho avuto la fortuna di collaborare ed essere amica di molti artisti africani, griot e non solo. Per questo sono stata spesso chiamata all’interno di festival/musei/conferenze portando in qualche modo una visione di mediazione culturale attraverso i linguaggi artistici.

Meraviglioso, movimento e ritmo insomma, quali migliori radici.

Hai fatto esperienze legate alla Musica Suonata?

Beh, accanto alla danza ho studiato musica, sia da privatista che al conservatorio (pianoforte). Ero anche brava, ma non era la mia priorità, anche se faceva felici i miei, e soprattutto l’approccio accademico mi stava strettissimo. Poi ho avuto bisogno di tornare a studiare musica da adulta per capire che potevano esserci altri modi, soprattutto grazie all’incontro con la tradizione africana, che ha un approccio orale e più cinestesico.

Perchè il bravo percussionista conosce la danza, il danzatore detta al percussionista un solo attraverso i suoi passi, sono un unico linguaggio che passa dalla voce dal corpo e dalle mani senza soluzione di continuità. Una visione in cui mi sono subito sentita a mio agio, nonostante la sua complessità ritmica e dialogica.

Quello che mi dici è meraviglioso, non pura esecuzione ma dialogo dinamico, movimento e musica, ritmo e voce… mi pare ci sia tutto no?

Come sei arrivata alla Body Music?

Come molte cose nella vita ci sono arrivata per caso, in bretagna, durante un festival di tap, ho incontrato Leela Petronio, per me è stato magico, perchè ho sentito che le mie due passioni potevano convivere in un unico gesto e non essere vissute separatamente come danza o come musica.

Musica a 360° dunque 

Quando mi sono ritrovata a 12 anni già alta 1h76, coi piedi piatti e un fisico totalmente inadatto alle scarpette da punta, ho sofferto tantissimo, ma questo mi ha permesso “per caso ” ad arrivare all’hip hop. Per anni mi sono lamentata del fatto che nella mia città non c’era una “scena” e gente con cui scambiare, allenarmi o misurarmi.

Ma l’isolamento mi ha anche permesso di crearmi un’identità artistica molto personale, nutrendomi di influenze molto diverse e senza crescere sotto l’impronta di un unico maestro. Mi ha spinto a viaggiare molto, a cercare fuori, ad assaggiare di tutto, crearmi un gusto e un senso critico e oggi posso dire che questi viaggi sono stati più istruttivi per gli incontri e le esperienze che per le ore di studio in sala, i seminari etc.

So che tu hai un’esperienza artistica che va anche molto al di là della Musica, ti va di raccontarci qualcosa?

Un altro momento fondamentale nel mio percorso artistico me l’ha fatto fare l’esperienza teatrale. Per la prima volta ho sentito che tutto era possibile e tutto poteva convivere.

Fino a quel momento vivevo l’hip hop nella scena underground, la danza contemporanea nelle sale, la mia passione grafico/pittorica nelle aule dell’accademia di belle arti, la Lis coi miei amici sordi etc. Il teatro mi ha permesso di togliere paletti ed etichette, di ricorrere ad una o all’altra risorsa a seconda di ciò che volevo raccontare, dell’atmosfera che volevo creare. Una grande libertà e una grande complessità insieme in realtà.

Sono felice di condividere alcuni link di tue performance per dare un’idea a chi ci legge del tuo lavoro.

Se non erro hai portato Solo Sol e Sirene a festival prestigiosi di Body Music come Body Rhythm Hamburg e IBMF Paris , Gocce invece è il tuo ultimo progetto, ce ne potresti parlare?

Di quest’ultima creazione ho detto poco per ora, è in divenire.
La grande sfida, nonostante il piccolo teaser, è non essere in scena, dirigere/comporre e soprattutto traferire la mia ricerca e la mia poetica ad altri interpreti, per lo più giovani. Da un lato perchè il tema richiedeva una dimensione corale, dall’altro per esplorare altro che un nei due soli precedenti avevo già ampiamente sviluppato. La trasmissione e la formazione sono una mia altra grande passione.

Ma passare ad altri un linguaggio polivalente e multidisciplinare maturato nel corso di una vita è davvero una bella sfida! Il tema sono gli antichi mestieri. Da un lato con il mio interesse a indagare su tradizioni e saperi che si stanno perdendo, dall’altro il valore simbolico/archetipico.

La lavandaia è colei che lava i panni sporchi altrui, ciò che non si vuole mettere in piazza, il segreto, la vergogna. Importante riflessione per noi che viviamo nell’era dei social, dove tutti appaiono belli, felici, appagati per colmare solitudine o bisogno di riconoscimento.
Questo per me è il teatro, dare un aspetto drammaturgico/narrativo al gesto, alla musica, alla danza, alla body music a servizio di un messaggio, per aprire riflessioni e domande nello spettatore.

Grazie Federica Loredan per esserti raccontata su Siing.


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