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Il respiro nel canto come lo conosco, come lo desidero

Il respiro nel canto

Come ti vorrei … come ti vorrei, vorrei, vorrei …

Ogni volta che volgiamo l’ascolto al respiro la prima reazione è la correzione, automatica, involontaria, dettata da una aspettativa prima ancora che da un giudizio. Come lo vorremmo sembra superare in velocità la domanda come è.

Sicuramente il respiro contiene dei pericoli intrinseci che l’ascolto non sempre vuole conoscere: la sua mutevolezza, la sua capacità di rivelarmi parti di me ancora non note, la sua potenza o la sua chiusura e molto altro.

Ma questa volta abbiamo un’esigenza che non può sottostare ai capricci del respiro: il canto, la recitazione, la declinazione artistica della voce fatta di regole e al tempo stesso impastata di libertà espressiva.

Come vorrei che fosse il mio respiro nel canto?

E quindi torna la domanda di come vorrei che fosse il mio respiro. Quali credo che siano gli ingredienti necessari per avere una bella voce, potente e sensibile, una articolazione libera e precisa, una presa d’aria veloce ed efficace, un controllo sul movimento del diaframma economico ed elastico. Tutti vorremmo smettere di preoccuparci del respiro ed essere certi che sarà la nostra rete di sicurezza e che conserverà le sue caratteristiche “naturali” anche quando saremo chiamati in passaggi vocali impegnativi o in ritmi inusuali o in performance molto emozionanti.

Il vertice dal quale vorrei partire è sempre quello che accompagna la mia ricerca: lasciare entrare l’aria, lasciarla uscire, attendere nella pausa che un nuovo inspiro nasca. L’intero ciclo respiratorio è voce, non soltanto l’espirazione. E l’intero ciclo è definito da qualità quali lasciare e attendere. Mette in gioco la fiducia.

Abbiamo già affrontato in diverse sedi il valore profondo che questa disposizione verso la fluidità dello scambio continuo tra dentro e fuori e la sua consapevolezza assume nel tempo: lasciare entrare l’aria significa costruire una dimensione corporea distesa, accogliente, elastica di tutta la muscolatura accessoria dell’inspirazione. Significa aprire spazi di respiro che diverranno (se sapientemente tonificati) spazi di risonanza e al tempo stesso luoghi di elaborazione di processi creativi. Significa costruire il corpo del suono nella direzione del raccoglimento e della distensione invece che della volontà a contrarre gruppi muscolari.

Come posso ottenere tutto ciò e perché è funzionale alla realizzazione dei miei desideri espressi poco prima è il nostro compito.

Il respiro non risponde bene a pedagogie prescrittive e a lavori centrati sul controllo. Possiamo controllare il respiro per poco tempo e sicuramente con fatica, probabilmente creando rigidità e sensazioni non confortevoli.

Ma questo non ci fa arrendere, abbiamo i nostri desideri da esaudire.

Ascoltare il proprio respiro

Possediamo infatti altri strumenti assai preziosi, molti dei quali sostenuti dalle più recenti ricerche scientifiche. Il primo è l’ascolto: l’ascolto inteso come esperienza sensoriale, meglio multisensoriale, e quindi conoscitiva a tutti gli effetti.
Ascoltare il proprio respiro e portarlo alla consapevolezza e alla possibilità di dargli parola è il primo passo verso il cambiamento.

Ascoltare il respiro poggiando le mani sul petto, concedersi del tempo, aspettare che l’ascolto lo muova spostandolo sotto le nostre mani è un’esperienza semplice che ci rivela uno strumento straordinario. Mi siedo e ascolto il movimento del mio respiro cercando di coglierne tutte le qualità: il ritmo, lo spazio, le direzioni, la forza, il colore emotivo.

Poi poggio le mani sul petto e mi dispongo ad ascoltare e ad attendere. L’esperienza di ascolto sarà il motore del cambiamento. Ascoltarsi ascoltare. Il respiro piano piano si sposterà sotto le mie mani e sentirò la gabbia toracica muoversi.

Prima delicatamente poi sempre con più chiarezza. È l’ascolto a muovere il respiro. Ed è l’esperienza di consapevolezza che faccio di questo movimento a mettere in moto il processo di cambiamento.

Il mio corpo, e la mia mente, fanno esperienza di una condizione nuova, in questo caso dell’espansione della gabbia toracica (ahi quanti tabu!!!), in un contesto emotivamente significativo, perché l’esperienza è importante per me, e così si struttura un nuovo schema corporeo che arricchirà quello esistente e scaverà le sue tracce mnemoniche attraverso la ripetizione dell’esperienza, sempre dentro un contesto di senso e di consapevolezza.

Lasciare entrare il respiro

Ma l’ascolto non è una bacchetta magica e così posso aver bisogno di piccoli movimenti connessi con il respiro che mi permetteranno di acquisire qualità specifiche in precisi distretti corporei.

Cercherò sempre un movimento che nasca dal respiro, che sia portato dal respiro e quindi collegato attraverso catene muscolari ai muscoli respiratori, e mai un movimento che regoli il respiro. In questo modo potrò disegnare la mappa del mio corpo che respira, scendere negli abissi della respirazione pelvica e perineale, lasciare libertà del respiro lungo la colonna vertebrale o sentire la presenza del mio dorso attraverso l’espansione dell’inspiro in quella parte.

Potrò lasciare che il respiro apra le ultime costole, senza dover esercitare nessuna pressione, sfruttando la chinesiologia toracica.

Lasciare entrare l’aria è una vera disposizione attiva a permettere che tutto il corpo respiri e che la voce esista prima di ogni cosa dentro di me.

In questo modo ho già conquistato molte delle qualità desiderate: la distensione nell’inspiro permette infatti una presa d’aria veloce, efficace, misurata sulle necessità perché regolata dall’interno; l’apertura degli spazi respiratori mi dispone verso la possibilità di lasciarli vibrare e di arricchire, quindi, la mia voce di altri risuonatori; la libertà del movimento del diaframma favorisce la costruzione degli appoggi; e ancora, la distensione è fondamentale per ottenere una buona articolazione. Senza dimenticare che il raccoglimento e l’accoglienza mi metteranno in contatto con il mio sentire e la mia espressività.

Le stesse regole posso applicarle all’espirazione: lasciare uscire l’aria. Nel canto, nella recitazione, nella danza l’espiro diventa voce e gesto, ma non deve portarsi dietro le “fatiche” della voce. Affinché la voce possa camminare fluida e sostenuta l’espirazione deve poter conservare la qualità del lasciare uscire e al tempo stesso nutrirsi della tonicità necessaria a gestire la pressione sottoglottica. Un vero lavoro da equilibristi tra lasciare e tenere.

L’immersione nel mondo del respiro non dovrebbe essere mai finalizzata ad uno scopo, ma ciò non significa che non ha obiettivi. Gli obiettivi sono interni, nascono dai miei bisogni e dai miei desideri, cioè dal mio sentire. E così anche la pausa troverà il suo significato di soggetto terzo capace di separare e scandire, sottolineerà ogni volta una nuova nascita, darà vigore all’impulso dell’inspiro e mi metterà ogni volta di fronte alla fiducia nel mio corpo.

Il respiro che cambia e si muove a volte ci delude, ma sempre si sviluppa, si apre. Forse può diventare affidabile solo quando gli si accorda fiducia.

Biferale, La terapia del respiro. Dall’esperienza sensoriale all’espressione musicale, Astrolabio, Roma 2014

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