Cantare fa bene
INDICE ARTICOLO
La nascita di una nuova vita è la testimonianza di un grande evento.
E l’atto del respiro che precede il primo vagito del neonato, il suo saluto al mondo.
Anche tu hai avuto occasione di assistere alla magia del parto?
Ti sei commosso quando hai sentito per la prima volta la “voce” di un bimbo?
La medicina afferma che il pianto vigoroso del neonato dopo il parto è indispensabile. Dilata gli alveoli e permettere il passaggio dell’ossigeno nei polmoni.
È un indice di vitalità: un segnale che lui è forte, sano e capace di farsi sentire.
La voce è il mezzo con cui il neonato comunica e si fa capire.
Un codice personale che si evolve di giorno in giorno.
Inizia con delle forme semplici, come la lallazione e il gorgoglìo, e si trasforma in un linguaggio strutturato.
Poi si diventa grandi e tutto cambia.
Ti sei mai chiesto qual è il tuo neolinguaggio?
Qual è il codice che ti identifica?
Che “colore” ha il suono della tua voce?
Immagino che anche voi abbiate sognato, almeno una volta, di tornare bambini per dare libero sfogo alla voce. Come si faceva nelle corse a perdifiato, durante la ricreazione con i compagni di gioco.
Perché, da grandi, le occasioni di manifestare “a pieni polmoni” le emozioni sono rare.
La mente ci condiziona. Blocca il fluire spontaneo delle emozioni e limita il nostro agire.
Fin da bambino, ho vissuto momenti di gioiosa letizia, perché il Canto era parte del mio quotidiano.
Un insieme di intense sensazioni che ancora rivivo, nonostante il ricordo sia legato a un tempo lontano.
Oggi sono triste perché mi accorgo che non si canta più!
Il canto non accompagna più i ritmi della natura: la vendemmia, la raccolta del riso, la festa nell’aia al termine della mietitura.
Anche un fuoco di campo, una gita in treno, una scampagnata domenicale fuori porta, non è più “vivificata” dal canto.
Ci siamo ammutoliti e un po’ abbruttiti ?
Philippe Barraquè – Musicologo e Musicoterapeuta – nel suo libro “La voce che guarisce” scrive:
“Le vibrazioni della voce sono come molecole. Dei corpi puri che si inscrivono nella memoria del nostro organismo. Servirsene come strumento di armonizzazione e di guarigione significa cantare l’essere e il rinascere, nelle sue energie creatrici e nei suoi silenzi interiori”.
Le sue parole sono una stilla luminosa e testimoniano quanto potenti siano le vibrazioni della voce.
Così potenti da guarire il Corpo, la Mente e lo Spirito.
Il Corpo, perché entrano in risonanza con la cellula – costituita per il 75% di acqua – che si rigenera e riprende vigore. Afferma la Biologia Molecolare.
La mente, perché placano il turbinio dei pensieri. Quelli che destabilizzano l’abitazione del quotidiano e le relazioni interpersonali. Sostiene la Psicologia Comportamentale.
Lo Spirito, perché la pratica del Canto stimola il flusso delle emozioni ed “eleva” l’individuo tramite “Le esperienze di vetta”.
Quello stato di beatitudine – così chiamato da Roberto Assagioli padre della Psicosintesi – dove ritrovare il proprio equilibrio psicofisico.
A sostegno del pensiero di Philippe Barraquè, riporto un fatto che ho letto sul libro “Eufonia* di Daniel Levy.
Un racconto del perchè cantare fa bene
Il racconto è ambientato nel Monastero della Grande Chartreus. Luogo dove la Liturgia delle Ore – i cinque momenti di preghiera giornaliera – per tradizione era cantata.
Con l’arrivo del nuovo Priore ci fu un cambiamento rilevante: il canto fu sostituito dalla semplice recita delle preghiere.
Dopo un mese successe un fatto strano. I monaci cominciarono ad ammalarsi. Uno dopo l’altro.
Si sentivano stanchi, debilitati, privi di energia. Tanto da faticare a svolgere i piccoli lavori quotidiani.
Il Priore, pensando fosse un problema di salute, chiamò il medico. E lui, dopo averli visitati non rilevò gravi patologie. Perciò prescrisse solo dei ricostituenti.
Trascorsero due settimane senza alcun miglioramento.
Il Priore, seriamente preoccupato, consultò l’edotto Bibliotecario nella speranza di trovare una soluzione al problema.
Il Bibliotecario fece una ricerca mirata, poi suggerì di cambiare strategia. Convocare un confratello tedesco, che da anni era dedito alla pratica delle Terapie Vibrazionali.
Arrivato al Monastero, l’esperto chiese al Priore da quanto tempo i confratelli erano malati. E volle sapere se prima della comparsa dei sintomi, c’era stato un cambiamento importante nelle loro abitudini quotidiane.
Il Priore disse che l’unico cambiamento significativo era stata la sostituzione del Canto delle Ore con la recita delle preghiere.
Dopo il racconto il monaco volle rimanere qualche giorno in convento, per verificare l’esattezza delle sue supposizioni.
Partecipò ai momenti di preghiera, e vide che i volti dei confratelli erano tristi e spenti. Ecco la prova!
I monaci, privati della pratica quotidiana del canto, si erano ammalati.
Il Priore ripristinò il Canto delle Ore, e dopo due settimane tutti i monaci tornarono in forma smagliante. Interessante, non trovate?
Cantare mi fa sentire bene: con me stesso e con gli altri.
Mi ha dato gioia negli anni in cui ho fatto parte di un Coro professionale. E adesso, quando canto da solo o in piccole formazioni da Camera, l’intensità delle sue vibrazioni mi nutre e mi ristora.
Il Canto è un rimedio taumaturgico.
Per chi vuole ritrovare il contatto con le proprie emozioni.
Per chi vuole tornare a sorridere, nonostante il grigiore delle giornate uggiose.
Per chi vuole contrastare la pesantezza del quotidiano e trasformarlo in un festoso momento di gioia.
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