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Oggi vi racconto una storia che narra l’incontro tra la voce e le nostre emozioni…
Ho una figlia di tre mesi che da qualche settimana a questa parte ha iniziato con entusiasmante curiosità a esplorare la propria voce. Se prima era evidente (inequivocabile anche per un sordo…) quando fosse triste o arrabbiata, adesso le sue vocalizzazioni esprimono con chiarezza anche felicità, preoccupazione o spavento e persino disgusto (non le rifaremo annusare il caffè ancora per un po’…). Capiamo piuttosto bene come stia anche stando in un’altra stanza: senza bisogno di vederla in viso, senza che lei sia ancora in grado di dire una parola. È il suono della sua voce, attraverso le sue variazioni di frequenza, ritmo e timbro, a esprimere tutto questo (Scherer, 1982) il così detto canale vocale non verbale.
Il fatto che sia stata dimostrata la capacità di un ascoltatore di riconoscere l’emozione espressa dalla voce di una persona che parla una lingua diversa dalla sua (Scherer, Banse et Eallbott, 2001; Elfenbein & Ambady, 2002) conferma il fatto che gli aspetti così detti paralinguistici (vocali non verbali, appunto) possano veicolare questo genere di informazioni in maniera indipendente e parallela al codice verbale.
Non solo: conferma l’esistenza di una programmazione comune, innata, alla base dell’espressione vocale delle emozioni, pur essendoci differenze inter e intra individuali che creano una, a tutti ben nota, variabilità (Belin, Zatorre et Ahad, 2002).
In questo articolo mi piacerebbe, caro lettore, offrirti una sbirciatina sulla complessità che sta dietro allo studio di un fenomeno che, ai più, appare del tutto ovvio: certo che dalla voce posso inferire le emozioni del mio interlocutore! E se non fosse così banale?…
Vediamo se possiamo fare un’incursione nell’affascinante regno della metodologia senza renderlo troppo tecnico o noioso.
Andiamo con ordine: tutti facciamo esperienza di emozioni, continuamente; giusto?
Bene, quindi tutti sappiamo cosa sono. Esatto?
Ok: allora datemi una definizione di emozione.
Eccolo il primo ostacolo: per studiare come la voce esprime le emozioni ho bisogno di tutto di chiedermi cos’è un’“emozione”; se poi questa cornice teorica è pure condivisa da tutti i ricercatori, sarebbe il massimo!
Perché?
Perché concezioni diverse delle emozioni portano a maniere differenti di costruire i setting sperimentali per studiarle, oltre che a focalizzare l’analisi su aspetti diversi dei campioni raccolti e a interpretazioni differenti dei risultati.
Ma purtroppo non va così liscia…
Le emozioni sono infatti studiate da tempo ed esistono diverse teorie che possiamo racchiudere sotto due approcci principali: quelle che le considerano categorie discrete, innate e con una base neurofisiologica e motoria (dunque espressiva) comune a tutti (approcci categoriali) e quelle che invece le considerano eventi dai confini meno definiti, che variano lungo il continuum di specifiche dimensioni (approcci dimensionali). Su una cosa sì, sembrano però essere tutti concordi: le emozioni scatenano una serie di cambiamenti simultanei e paralleli in almeno 5 sotto sistemi distinti: quello neuro fisiologico, quello espressivo, quello motovazionale, quello cognitivo e infine nell’esperienza soggettiva che facciamo (feeling o sentimento provato).
Ricordatelo, lettore, per quando passerai al prossimo articolo sul tema.
Le complicazioni non si esauriscono qui. La ricerca in ambito vocale è profondamente interdisciplinare: oltre a elementi di linguistica e psicologia si devono ad esempio considerare anche i meccanismi anatomici e fisiologici che concorrono alla produzione vocale delle emozioni (medicina) e alle analisi più adeguate per studiare il segnale sonoro al fine di estrarne frequenza, intensità, profili, timbro e molto altro (fisica acustica e computer science). Questo rende la comunicazione vocale un oggetto di indagine profondamente affascinante, capace di avvicinare ambiti di studio lontani tra loro ma anche molto complesso da cogliere nella sua interezza. lo studio della voce richiede una adeguata tecnologia, ancora in evoluzione.
Infine sorge il problema dei setting sperimentali: come faccio ad avere campioni di “emozioni vocali” autentiche? Raccogliere campioni “ecologici” fuori da un laboratorio è estremamente complesso (che faccio, ti lascio un microfono addosso con audio registratore attaccato tutto il giorno? E chi mi dice che emozioni stavi provando e con che intensità?)
difficilmente ripetibile in maniera standardizzata (se uno si spaventa perché sbatte una finestra o ha un attacco di panico in treno posso considerare le due emozioni equivalenti?)
oltre a non garantire una qualità acustica sufficientemente elevata (se registro altri suoni oltre alla voce, quando analizzo il segnale come pulisco la traccia?)
D’altra parte dare l’istruzione ad attori di recitare una stessa frase esprimendo emozioni specifiche e differenti (come più spesso è stato fatto) può risultare invece estremamente artificiale… ed elicitare alcune emozioni in laboratorio può presentare problemi etici (pensate se dovete far spaventare tantissimo una persona o indurle uno stato di disperazione).
Che fare? Galleggiare nel mezzo, ricercando, con creatività e rigore, condizioni sperimentali chiamate semi-ecologiche: costruite in laboratorio, in modo che siano controllabili e ripetibili, ma in modo che sollecitino emozioni il più possibile naturali.
Per questo si usano ora stimoli narrativi, ora audiovisivi, ora videogames, ora persino ascolti musicali, si chiede di rievocare di eventi passati o di immedesimarsi in eventi ipotetici, nei casi più arditi e complessi si coinvolgono persino i partecipanti, del tutto ignari, in vere e proprie messe in scena dove collaboratori dello sperimentatore interagiscono secondo copioni precedentemente concordati al fine di suscitate specifiche emozioni.
Allora, curioso lettore, è poi così semplice entrare nel merito di questo intricato connubio tra voce ed emozione? Ricordalo quando, nel prossimo articolo, entreremo nel merito dei risultati della ricerca in questo ambito: che possano essere lo stupore e la capacità di non dare nulla per scontato a guidare il tuo sguardo.
Bibliografia
Scherer KR, (1982). The assessment of vocal expression in infants and children. In CE Izard ed. “Measuring emotions in infants and children” Cambridge University Press
Scherer KR, Banse R, Wallbott HG (2001). Emotion inferences from vocal expression correlate across languages and cultures. Journal of Cross-cultural psychology 32 (1)
Elfenbein HA & Ambady N, (2002) On the Universality and Cultural Specificity of Emotion Recognition: A Meta-Analysis. Psychological Bulletin 128 (2)
Belin P, Zatorre RJ, Ahad P (2002). Human tenporal lobe response to vocal sounds. Cognitive Brain Research 13 (1)