La presa in carico del performer

Per poter rispondere e scrivere questo articolo bisogna innanzitutto chiarire chi è il performer e cosa gli viene richiesto. Procediamo...
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Per poter rispondere e scrivere questo articolo bisogna innanzitutto chiarire chi è il performer e cosa gli viene richiesto.

Procediamo per gradi: a mio avviso è necessario innanzitutto risalire al significato stesso della parola per spiegare bene l’argomento in oggetto.

performer artistaIl termine performer, ormai di comune accezione anche nel dizionario della lingua italiana, nell’ambito dello spettacolo è “l’esecutore di una performance artistica”, mentre nello sport è chiamato così “un atleta già affermato”, o addirittura un cavallo dalle grandi prestazioni… pertanto è corretto definire questa figura come un atleta che si esibisce con talento.

Atleta perché ciò che gli viene richiesto sono dei veri e propri esercizi per i quali deve essere necessariamente preparato: impegni quali lezioni, prove, concerti, tour faticosi e tanto altro.

Il cantante e l’attore vanno incontro, infatti, a una serie di inevitabili stress soprattutto vocali (dovuti al surmenage).

Devono pertanto essere necessariamente supportati da un allenamento costante del corpo e dell’organo fonatorio, al fine di prevenire danni alle corde vocali.

Un altro aspetto da non trascurare, peraltro di fondamentale importanza è quello emotivo, partendo dall’assunto che ogni artista ha l’esigenza di comunicare quello che “sente”… ovvero un suo pensiero, una sua idea. Veicola quindi un messaggio e interviene sullo spirito e la ricettività di chi ascolta esibendosi senza l’inibizione di filtri. A volte è capace di disarmare l’ascoltatore fin nella sua intimità.

In tal modo si mostra così come è e non come vorrebbe essere. Non ha un voce solo fisica… ha una voce intellettuale, potremmo dire una voce quasi astratta… e proprio per questo, prima di intraprendere un training, si avvale di una tecnica di canto tutta sua (che tecnica non è, ma è stile. Il suo stile).

Inoltre, altro aspetto da non sottovalutare, soprattutto nei performer affermati, è dato dalle interazioni con le diverse figure professionali che lo circondano e alle quali è costantemente sottoposto: il team!

L’artista è come al centro di un girotondo in costante turbinio: regista, autore, insegnante di canto o di recitazione, vocal coach, manager, e infine…il pubblico!

Un cerchio che lo stringe e che lo impegna dal punto di vista emotivo, fisico, prestazionale, artistico e lavorativo.

Quante competenze vengono richieste a una SOLA persona? Come dovrà maturarle? e in che modo? e da chi potrà acquisirle?

E allora ci chiederemo: quali caratteristiche formative ed esperienziali deve avere chi forma l’artista al fine di ottimizzarne le risorse e implementare e potenziare le sue capacità performative?

Quale, in questo campo, è la figura più indicata?

Tante domande alle quali cercherò di rispondere il più possibile esaustivamente partendo da quello che il panorama musicale offre. Mi soffermerò, per necessità editoriale, solo sull’aspetto del cantante, poiché l’attore segue un training molto diverso . Storicamente la figura professionale pressoché indispensabile e sicuramente la più importante per la didattica vocale è l’Insegnante o Maestro di Canto.

Ad affiancare questa professione, da secoli, esiste il cosiddetto Maestro di spartito, o Maestro accompagnatore: un pianista che si occupa dello studio della partitura, dello stile e della preparazione del repertorio, affiancando così l’insegnante di canto che si occupa invece del percorso squisitamente tecnico.

Questo solitamente è quel che accade nel canto classico, nell’ambito del canto pop e del jazz, ma per tutti gli altri stili di canto le cose sono un po’ diverse.
Lo studio del canto moderno, soprattutto se svolto in regime privato, non viene affiancato dallo studio della musica e di uno strumento. Spesso è volto esclusivamente alla didattica vocale. Questo è quanto avvenuto per molti anni, poiché le cattedre di canto pop e jazz hanno avuto origine molti anni dopo quelle di canto lirico.

E proprio questo ritardo nell’istituire tale percorso di studio, ha dato luogo allo sviluppo e alla crescita di corsi di canto moderno in ambito privato, troppo spesso con insegnanti “approssimativi” con al loro attivo “solo” una personale esperienza come cantanti… e a volte neanche quella! (nota polemica).

L’art. 33 della nostra Costituzione dice che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento.

Su questo concetto si è basata la scelta dei docenti di canto nei conservatori; per accedere alla graduatoria non viene richiesto il titolo di studio ma si ottiene un’idoneità artistica quantificata in punti (24).

Tale punteggio viene attribuito ai candidati che dimostrano la loro idoneità all’insegnamento mediante pubblicazioni, produzioni, partecipazioni a Festival o concerti importanti. In definitiva, tutto quello che attesti di avere una maturata esperienza da cantante.

Solo dopo aver raggiunto questo punteggio viene aggiunto eventualmente il titolo di studio (se posseduto). Al contrario, nei licei musicali (pubblici), il docente deve avere imprescindibilmente la laurea in canto per poter insegnare….ma questa è un’altra storia.

Nel privato ovviamente tutto ciò non è richiesto e ognuno insegna ciò che sa. Questa breve premessa per poter comprendere che spesso, anche solo a livello istituzionale, è veramente difficile discernere a chi affidare la voce dei futuri performer. Nel privato spesso non viene preso in considerazione il curriculum del futuro docente (ammesso che ne abbia uno) ma solo la pagina Instagram!! Ci sono i follower e…tanto basta. Dopo questa necessaria introduzione, iniziamo a rispondere al titolo dell’articolo.

La prima persona in cui un giovane artista si imbatte quando scopre di avere una bella voce, un talento, è proprio l’insegnante di canto. L’incontro con lui/lei diventa un appuntamento irrinunciabile, poiché all’interno delle lezioni di canto accade tanto altro, oltre lo studio della musica.

La pedagogia del canto e la sua didattica, soprattutto in questo ultimo ventennio, hanno subito numerose trasformazioni ed evoluzioni. Sono nate diverse metodologie, molte scuole di pensiero e tante di esse basate più su aspetti meccanicisti. L’abilità performativa, nonché il raggiungimento dell’eufonia stilistica a tutti i costi, hanno dato più spazio all’esercizio di agilità che alla evoluzione dell’arte stessa.

Il come canto è diventato più importante del perché canto!!!

Credo personalmente, nonostante io sia una logopedista, che ci siano molte voci imperfette e patologiche che comunicano a livello emotivo significativamente meglio la loro arte, rispetto a voci tecnicamente ineccepibili… ricordiamolo quindi: mai sacrificare l’arte per essere performanti…e mai dimenticare il motivo del proprio canto.

Cambiate le esigenze del mondo musicale e dei loro performer, progredendo la foniatria artistica con l’importante divulgazione della conoscenza dell’anatomia e della fisiologia dell’organo fonatorio, l’interesse per il canto puro è cambiato.

La didattica vocale infatti, è orientata più verso l’aspetto prettamente funzionale che oserei definire “tecnico-maccanico”, piuttosto che verso gli elementi interpretativi. E da questo nuovo fenomeno (molto American Style) si è dato spazio a una serie di nuove figure professionali: i cosiddetti Vocal Coach.

È un termine che ha avuto una notevole diffusione in Italia in questi ultimi anni, soprattutto per merito di tantissimi talent show e trasmissioni musicali come Amici,  X-Factor ecc., ecc. Il termine “coach”, in ambito sportivo era già molto noto, in quanto negli Stati Uniti viene chiamato così l’allenatore delle varie discipline.

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Cosa significa essere un Vocal Coach?

Ho cercato la definizione in internet, e ho potuto constatare che a tutt’oggi in Italia non c’è un riconoscimento formale-istituzionale di tale figura, ma che è considerato un sinonimo sicuramente efficace dal punto di vista comunicativo per sintetizzare le competenze di un insegnante di canto.

Di seguito ciò che consultabile in internet (fonte: www.nam.itIl Vocal Coach non è “solo” un insegnante di canto. Ha tutte le competenze per poter ricoprire questa figura, tuttavia fare lezione con un vocal coach presuppone un livello più avanzato, è riferito a un docente di un corso di canto professionale, per fare un esempio.

Nell’attimo in cui un allievo riesce a padroneggiare bene la tecnica del canto grazie a un percorso portato avanti dall’insegnante di canto, è doveroso fare lo step successivo affidandosi al Vocal Coach, la figura deputata a trasformare l’allievo o lo studente in un professionista e performer.

È doveroso concentrarsi soprattutto su quest’ultima parola, infatti il Vocal Coach è in grado di seguire il proprio allievo in un processo volto ad affinare l’interpretazione e quindi la performance di un brano.

Questo “processo di maturazione” del canto metterà sotto la lente di ingrandimento ogni minimo particolare dando la massima importanza all’interpretazione, non dimentichiamo infatti che il canto è anche una forma di comunicazione ed espressione.

Concludendo questa prima disamina, possiamo ribadire che il Vocal Coach è un vero e proprio artista professionista, non solo un “teorico”, ma una persona in grado di dare consigli pratici, reali, provenienti dall’esperienza maturata anche su palchi importanti.

Che differenza c’è fra vocal coach e vocal trainer? 

Il Vocal Trainer quindi è un cantante (e non può non essere tale) esperto di meccanica laringea e anche di un ampio, il più ampio possibile numero di metodologie vocali, che si occupa dell’allenamento vocale e della preparazione tecnica di un artista.

Quello che è assolutamente auspicabile e obbligatorio è che entrambe le figure siano musicisti professionisti, che abbiano avuto esperienza calcando le tavole del palcoscenico prima di passare all’insegnamento, essendo questa esperienza, in primis, cardine e fondamento nella trasmissione del sapere e del saper fare.

L’insegnante NON deve assolutamente essere un esempio vocale per il proprio allievo proprio in virtù di quelle differenze fisiognomiche e strutturali che ne impedirebbero la similitudine, ma, altresì, deve poter saper fare ciò che insegna.

Vi sono insegnanti, vocal coach, vocal trainer che non cantano; cosa differente dal saper emettere un suono. Altro aspetto spinoso da non sottovalutare è rappresentato dall’insorgere di patologie vocali e dall’impatto che queste hanno sulla vita dell’artista.

È assai frequente che insorgano problemi vocali sia nel performer professionista nonché nell’allievo artista. Le cause, come ben sappiamo tutti, sono riconducibili a un uso eccessivo della voce (surmenage) e/o all’uso sbagliato della stessa (malmanage).

A questo punto, chi dovrà occuparsi del recupero della voce del performer? 

Il vocal coach, il vocal trainer, lo stesso insegnante di canto? Nessuno di questi!!! a meno che oltre alla competenza di insegnanti di canto non abbiano conseguito una laurea in logopedia.

Vi ricordo brevemente (citando solo i 2 punto del DM 742/94) chi è il logopedista e di cosa si occupa:

1. È individuata la figura del logopedista con il seguente profilo: il logopedista è l’operatore sanitario che, in possesso di laurea abilitante, svolge la propria attività nella prevenzione e nel trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunicazione in età evolutiva, adulta e geriatrica.

2. L’attività del logopedista è volta alla prevenzione, all’educazione e alla rieducazione di tutte le patologie che provocano disturbi della voce, della parola, del linguaggio orale e scritto e degli handicap comunicativi.

È abbastanza ovvio quindi che la rieducazione della voce e del programma riabilitativo con annessa scelta dell’eserciziario vocale da svolgere, sia di competenza del logopedista. La mia personale esperienza, dopo quasi 30 anni di lavoro con le voci patologiche in ambito sia Pubblico-Universitario, nonché in privato da 25 anni alla direzione del Centro della Voce e della sua accademia di canto, mi ha insegnato ad avere grande rispetto delle diverse professionalità.

Pur potendomi rifare all’Art 33 della costituzione (summenzionato), e avendo acquisito il titolo di esperta in vocologia artistica, non ho mai ritenuto e voluto insegnare canto. È per questo motivo che da anni conduco una lotta (contro i mulini a vento) verso chi invece, pur di non rinunciare a un allievo, sconfina addentrandosi in ambito sanitario, riabilitando (o meglio, supponendo di esserne capace) la voce del suo discente.

Sarebbe invece utile che il logopedista (nel mio caso vocal trainer ed esperto di vocologia artistica) fosse inserito nel team dell’artista in ambito preventivo: è auspicabile che le due figure professionali coesistano nello stesso professionista anche se non è obbligatorio. Ciò che è assolutamente vietato e punibile penalmente è perpetrare l’abuso di professione.

Pertanto, di seguito, al fine di non incorrere in errori, riporto 4 cose vietate e che invece purtroppo riscontro continuamente da parte di professionisti NON sanitari che operano intorno all’artista.
È severamente vietato: 

1. Prescrivere farmaci (cortisone, aerosol, ecc.)

2. Fare diagnosi percettiva (senza fibroscopia del foniatra o dell’otorino non è possibile indovinare la patologia)

3. Toccare, manipolare la laringe del cantante e naturalmente nessun’altra parte del corpo, diaframma incluso.

4. Sostituirsi al logopedista.

Più facile non significa migliore (cit. M. Tripodi) La sostituzione è semplice perché fa leva sull’aspetto emozionale del cantante sia esperto che meno esperto.

L’artista non vorrebbe mai smettere di cantare e soprattutto credere di essere malato, pertanto si affida al proprio coach pur di non accettare la patologia in corso; patologia che avrebbe potuto evitare se parallelamente alla preparazione artistica avesse intrapreso un percorso logopedico a scopo preventivo. Su quest’ultimo punto tengo a soffermarmi di più poiché a volte i cantanti vengono rassicurati dai propri coach che il programma degli esercizi di riabilitazione può essere tranquillamente svolto insieme a loro.

È pur vero che a tutt’oggi la didattica vocale è basata sulla conoscenza dell’anatomia e della fisiologia della laringe, ma è anche vero che non bastano soltanto poche ore di corso all’interno di una qualsiasi metodologia che possa far sentire autorizzati alla pratica logopedica.

Il logopedista al suo attivo ha almeno 600 ore di tirocinio professionalizzante in ambito ospedaliero all’anno (3 anni almeno) e prima di poter esercitare deve superare un esame di Stato. Sta agli artisti discernere dove è scienza e dove è arte.

Ciò che di scientifico è utile all’arte e ciò che di artistico è utile alla scienza. Sta quindi alle professionalità artistiche e cliniche collaborare proficuamente senza sconfinare vicendevolmente nel campo d’azione altrui. (Cit. Angelo Fernando Galeano)

(Da consultare anche https://www.voceartistica.it/it-IT/index-/?Item=tripodiA)

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Leggi anche l’articolo: Il popolo Ni-Vanuatu: una danza immersa in un canto circolare

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    Marina Tripodi

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