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“Barrì” – Il viaggio onirico di Avincola

Immaginate di essere catapultati improvvisamente in una dimensione “altra”, all’interno di un sogno in cui le visioni che avvolgono il vostro sguardo sono il perfetto connubio tra allucinazione e concretezza. 

Fellini stesso diceva che non c’è nulla di più sincero di un sogno.
Ecco questo è “Barrì”, il nuovo album di Avincola, cantautore tra i più curiosi e originali del nuovo pop italiano, uscito lo scorso 9 giugno per Leave Music. 

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Un album importante, ironico, fantasioso, che vede la collaborazione di Folcast, Cimini, Alessandro Gori, Serepocaiontas ed in particolar modo di Pasquale Panella che ha scritto il testo di “Barrì”, il brano da cui deriva il titolo omonimo dell’intero disco. 

La scrittura per Avincola è il linguaggio attraverso cui trasformare la nuda quotidianità in visione, in un insieme di sequenze ironiche da osservare attraverso vari punti di vista, tutti differenti, e immergendosi affondo nelle storie e nel turbine di emozioni.

La nostalgia che pervade le sue canzoni rievoca i tratti dell’infanzia sognata e sognante dove in estate ci si perdeva tra un parco giochi, un gelato, il rumore del mare sulle spiagge nel pomeriggio. Vi sono echi figli di Battisti e molte sonorità a cavallo tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli ’80.

Ed è proprio attraverso tutto questo che Avincola ci inoltra nel mondo onirico di “Barrì”, tra i suoi fuochi d’artificio e le sue lattine, la sua febbre carica di romanticismo, le notti insonni in cui prendono voce i pensieri. 

Qual è la genesi di “Barrì” e dove vuole condurre l’ascoltatore?

Guarda, parto col dire che quando scrivo non so mai quello che ne verrà fuori, nel senso che non lavoro mai programmando già la meta.

Però, riascoltando “Barrì” mi sono reso conto che vuole portare una visione alternativa sulle cose del quotidiano. Ciò che viviamo tutti i giorni ha un unico punto di vista, ad esempio un bicchiere nella realtà serve solo per bere, invece la mia idea è sempre quella di provare a trasformare la realtà rendendola un po’ più interessante.

Quindi credo che provenga tutto da qui e che è anche l’unico modo che ho a mia disposizione per trasformare il mondo del quotidiano. Utilizzo la musica per raccontare delle scene di un film che vengono però riprese da un punto di vista inaspettato, sempre.

Quindi l’album vuole portare lo spettatore in questa ripresa sulla vita ma attraverso l’occhio di qualcuno che guarda da un angoletto nascosto e non per forza da lontano ma anche stando vicino a ciò che accade e cercando, magari, di immergersi in queste storie.

Mi ha incuriosito molto il processo di scrittura che ho avuto e spero che questa cosa esca fuori attraverso l’ascolto delle canzoni. Vorrei che si sentisse questa ricerca nel voler vedere le cose in maniera differente.

Anche attraverso dei brani malinconici, ad esempio “Ghiaccioli e bollicine”, c’è sempre quella leggerezza che credo serva anche per un’immersione maggiore e viverne le emozioni con un po’ più di serenità. 

Infatti attraverso quest’album si è catapultati in una dimensione onirica, irreale, carica di immagini fluttuanti e allucinate eppure piene di materiale quotidiano. Avincola, come nasce questo tuo approccio musicale così catartico?  

Probabilmente nasce proprio da questa esigenza che ho avuto negli ultimi due anni di sfuggire alle cose che mi accadevano nel quotidiano e per allontanarti da tutto questo o ti giri dall’altra parte oppure se scrivi canzoni in maniera sincera cerchi di trasporle attraverso un’altra chiave, un altro modo di guardare.

Ho voluto scavare molto attraverso “Barrì”, come in una seduta con lo psicologo, soprattutto nel pezzo di chiusura che s’intitola “Tapparelle”. È una canzone che parla un po’ di tutti in realtà e racconta di un personaggio che non riesce a dormire perché assediato dai pensieri che lo tormentano e le tapparelle sono in realtà le palpebre che calano ed ogni volta, quando finalmente sta per addormentarsi, ecco che si aprono nuovamente perché cominciano a riaffiorare dei ricordi.

Credo sia uno dei brani più allucinogeni di quest’album. 

Inoltre, nonostante il tratto malinconico che è insito nella tua musica, questo album mantiene costantemente quella tua ironia così elegante e al tempo stesso popolare che non si trova frequentemente nel pop nostrano di questi tempi, salvo rare eccezioni.  

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Io sono molto sincero quando scrivo. La sincerità nelle mie canzoni è presente anche quando scrivo di cose che non ho vissuto nel concreto, però anche quelle storie non nascono a tavolo con la speranza di fare i numeri, quindi è costantemente presente il desiderio di non essere falso e per dirtela con sincerità, appunto, sono una persona molto ironica nella vita di tutti i giorni.

Amo i contrasti nella musica, mi piace raccontare cose che per me sono molto profonde e allo stesso tempo creare un contrasto con l’ironia e la leggerezza.

Sono così sempre, quando mi accorgo che sto scivolando nel serioso allora tendo ad alleggerire e a non prendermi troppo sul serio. Alla fine siamo esseri umani, oggi siamo qui domani non ci siamo più e forse qualcuno di noi lascerà una traccia al massimo. 

Quanto trovi che sia notturno “Barrì”?

Bella domanda. Trovo che sia molto notturno e non a caso sulla copertina c’è come sfondo un cielo di notte. La notte ha a che fare con qualcosa di particolarmente intimo, è il momento esatto per scavare in sé stessi. 

È durante la notte che ti capita anche di programmare cose meravigliose da fare nei giorni seguenti e magari credi anche di aver capito tutto quello che dovevi capire, di aver sistemato ogni tipo di problema, invece quando ti svegli al mattino seguente ti accorgi di non aver capito un cazzo.

Quindi per me è così: la vita vera è il giorno e le canzoni sono la notte. Tra l’altro “Barrì” è un disco che ho registrato volutamente tutto in casa, suonando quasi tutti gli strumenti da solo, perché volevo che avesse un’aria molto personale.

In questo modo ho avuto la libertà di fare delle cose a modo mio. Per esempio per “Tapparelle”, dato che è un brano estremamente notturno, volevo avere la voce un po’ rotta e allora ho atteso che arrivasse la mezzanotte e dopo ho cominciato a registrare.

Un tocco di verità che lo studio ovviamente non ti consente. In “Barrì” ci sono stati vari esperimenti di scrittura, ad esempio “Letti” nasce da un monologo di Alessandro Gori ed era un racconto orizzontale e l’ho trasformato secondo la forma verticale della canzone, il brano “Barrì” invece è la musica applicata al testo di Panella, “La febbre, l’amore, la tosse” è stata scritta tramite whatsapp e così via. 

Parlando di collaborazioni, in “Barrì” ve ne sono molte e di notevole importanza. Cosa puoi dirci a riguardo? E soprattutto, come nasce la collaborazione con Pasquale Panella?

Sicuramente ci sono state delle collaborazioni molto interessanti. Attraverso “Barrì” ho avuto modo di lavorare con persone che stimo sia umanamente che artisticamente e questo è un tratto a cui tengo molto e non lo dico per fare il poeta di chissà cosa ma perché davvero penso che la cosa importante non sia fare musica pensando agli ascolti ma di farla bene e con persone con cui ti trovi.

Poi, ovviamente è bello anche arrivare ad un pubblico perché comunque la musica è condivisione e quindi bisogna tener conto anche di questo, altrimenti suoni dentro casa e finisce là. Per me queste collaborazioni sono importanti soprattutto perché mi piace partire con un racconto e vederne successivamente l’altro punto di vista, sempre sulla stessa tematica. Per quanto riguarda l’esperienza con Panella, lì devo ringraziare Morgan.

Tutto è nato durante l’edizione 2020 di Sanremo Giovani in cui io partecipavo come concorrente e Morgan era in giuria. Subito dopo la mia esibizione mi si è avvicinato riempiendomi di complimenti ma non ci siamo scambiati i contatti e un po’ di tempo dopo, un amico in comune che fa il giornalista ci ha messi in contatto e così Morgan mi ha incluso successivamente in questo gruppo di lavoro dove ognuno di noi interni sceglieva delle poesie tratte dal libro dello stesso Morgan, appunto, trasformandole in canzoni.

La raccolta poetica s’intitola “Parole d’aMorgan” e Panella, da che all’inizio doveva scriverne la prefazione ha composto dei commenti poetici per tutte le poesie presenti all’interno. Quindi ad ogni poesia scritta da Morgan corrisponde un commento poetico di Panella ed è pazzesca come cosa. T

ra questi ho scelto “Barrì” ed ho chiesto a loro due se potevo metterla nell’album e così è andata, poi gli è anche piaciuta molto. Tra l’altro Panella l’ho sentito la prima volta al telefono ad una mezz’ora dallo scoccare del capodanno, è stata una scena folle perché io ero a casa e ad un certo punto mi è squillato il cellulare e ho visto che era lui, a quel punto mi sono chiuso in camera da letto e siamo stati a parlare mentre fuori c’era un casino assurdo tra i botti, i fuochi d’artificio, il delirio.

È stata una scena surreale come i testi che scrive.

A sentire il tuo racconto mi torna in mente la copertina dell’album. Anche lì c’ è un capodanno, o un carnevale forse…

Si, è vero. Tra l’altro, devo ringraziare Federica Berti che ha tirato fuori per “Barrì” questa copertina collage stupenda partendo dall’idea di mostrare un non-luogo che contenesse degli elementi tratti dalle canzoni e infatti sono ritratti l’elefante, i ghiaccioli, il mare, le lattine. È piaciuta molto anche a Panella che ci ha visto una citazione ad “Ecco i negozi”, il brano che scrisse per Battisti. 

Quest’anno hai avuto modo di essere tra gli ospiti di “StraMorgan”, il programma folle e notturno di Morgan e Pino Strabioli su Rai 2 che ha ottenuto un notevole successo. Inoltre, hai avuto modo di cantare assieme a Morgan proprio la canzone di Battisti-Panella citata poc’anzi. Com’è stata l’esperienza? Ha influito, in qualche modo, sulla costruzione di “Barrì”? 

In realtà si, è successo proprio questo. Nel periodo in cui stavo trasformando queste poesie in canzoni non avevo ancora terminato l’album e questo fomento surreale panelliano mi ha condotto nello scrivere cose con una visione diversa per alcune canzoni che sono “Tapparelle” e “Amare a mare”.

Quest’ultima è una canzone molto surreale, una sorta di truman show che racconta di questo personaggio che si trova a vivere in un mondo totalmente finto e che in realtà è la sua testa, in cui deve ritrovare il suo amore che non rivede da molto tempo e cerca di parlarci. Adesso che mi ci hai fatto pensare, credo proprio che questa canzone nasca grazie all’esperienza StraMorgan.

Quindi si, mi ha aiutato molto per “Barrì”. È stato un viaggio che ovviamente mi ha colpito molto e in maniera più che positiva. Una cosa che non tutti dicono è che andare in televisione è veramente figo, non so perché spesso deve passare come messaggio il contrario, voglio dire non c’è mica niente di male?! Poi è stata un’ulteriore dimostrazione di stima che ha Morgan nei miei confronti, dato che mi ha chiamato per partecipare e poi, portare il Battisti scritto da Panella in televisione… solo lui lo poteva fare.

È un’operazione coraggiosa e di un livello veramente alto. Morgan e Strabioli hanno fatto un grande lavoro. Penso che questa trasmissione, al di là della bellezza, sia stata proprio importante per il servizio culturale che ha fornito e mi sono reso conto, riguardandola, che era tanto tempo che non vedevo un programma nella televisione italiana in cui si suonasse così tanto e dal vivo.

Se ci pensi, non abbiamo tutti questi programmi in cui si suona davvero tanto quasi come fosse un concerto. Poi, il modo che ha lui di scavare nelle canzoni non ce l’ha nessuno e quando l’ha fatto per “Emozioni” è stato un momento straordinario. 

In un periodo in cui si cerca di essere il più attuale e sociale possibile, dimostri di essere un artista fuori dal tempo. A tal proposito, Avincola, come fa la musica a resistere a quello che noi chiamiamo tempo?

Secondo me resiste nel tempo perché ognuno la può vivere in maniera differente. La canzone non è statica e si trasforma nonostante il fatto che sia registrata, perché ad ogni ascolto risulta diversa. Questo è il potere della musica, il suo essere rarefatta.

È diversa dalle altre arti, il che non significa che sia meglio o peggio, ma che è la più astratta di tutte. Davanti ad un quadro puoi notare dei cambiamenti ma resta sempre qualcosa legato al visibile, le canzoni invece le puoi immaginare e quindi sono sempre differenti. Questo credo sia il motivo per cui resiste nel tempo.

Dopo tutti questi anni ti sei mai chiesto chi è Avincola?

Domanda difficilissima a cui faccio fatica a rispondere perché mi riesce difficile definirmi e non voglio neanche ripetere le stesse cose che ho già detto prima.

Chi è Avincola? Diciamo che sono uno che cerca di vedere le cose da un punto di vista diverso, nonostante il mio essere nella vita anche abbastanza cinico, pessimista o realista dato che le cose sono abbastanza collegate, ma che attraverso le canzoni tento di concludere i miei pensieri con un goccio di speranza. Quindi Avincola è uno che si cerca di immergersi in cose anche difficili.

Vorrei essere artisticamente un raccontatore coraggioso. Ecco, probabilmente così potrei  inquadrare Avincola. 

“Barrì”, abbiamo già detto, è un album legato ai sogni. A tal proposito, quali sogni hai per il tuo futuro a seguito di questa uscita importante?

Guarda, di solito non faccio mai pronostici. Nella vita ho una visione molto punk e anche piuttosto rischiosa perché non è che provengo da una famiglia ricca. Quindi cerco di non pensare troppo al futuro, vivendo strettamente il presente. Non a caso, anche le mie canzoni sono costantemente legate al presente a differenza di Panella che parla al passato remoto.

Quindi io, Simone Avincola, mi muovo soltanto nella dimensione del presente e per me il futuro non esiste. 


Leggi anche l’articolo: Respir-Azione

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