Il mondo del 2332 è un groviglio assordante, una Babilonia cibernetica sull’orlo della decadenza. Tutta l’umanità si concentra in un’enorme metropoli, Hivy, fatta di enormi grattacieli asettici, tutti connessi da corridoi obliqui. L’umanità è raminga, inquieta, schiava delle sue stesse passioni, degli umori, degli istinti momentanei...
Salvation
2332 l’ultimo canto
Nell’anno 2020, nei pressi di Cruzeiro, Brasile. È notte e un bambino sta disegnando nascosto sotto le lenzuola. In particolare sta disegnando un’elaborata figura di ragazza irradiata da una luce bianchissima, e tutt’intorno il vortice di mille colori mischiati l’uno nell’altro.
Una piccola luce lo invita a uscire e ad avvicinarsi a una bocca di roccia vicino alla sua casa, si porta dietro lo smartphone per farsi luce. Davanti a quella grande pietra, come se questa lo stesse aspettando, si apre davanti a lui uno spettacolo incredibile, fatto di visioni, di corpi esasperati che premono per uscire dalla roccia: provenienti da un altro universo? Da un altro pianeta? Da un altro tempo?
Quello sfogo nella roccia pare voglia qualcosa da lui e lo attira sempre più a sé. Il ragazzino infila nella roccia che si è fatta malleabile la mano che regge lo smartphone e questa trattiene l’oggetto a sé, placandosi.
È l’avvio di una storia incredibile che attendeva quel momento per avverarsi…
Qui di seguito la nostra recensione scritta
da Francesca Iaccarino
“Salvation: 2332 l’ultimo Canto” a cura di Michele Degan e Albert Hera è un romanzo distopico ambientato in un futuro in cui la società e gli esseri umani conducono una vita priva di ambizioni e sogni.
In una metropoli grigia dove l’aria è razionata per ogni individuo, si consumano vite perse in ologrammi che simulano i desideri irrealizzabili degli uomini.
Non v’è traccia di una memoria del passato e nessuna visione di un futuro, si vive schiavi sotto la guida di un padrone che ha come obiettivo l’omologazione dell’umanità, radendo al suolo ogni principio di emozione e suono.
Siamo in un futuro dove ci si è resi conto che il vero motore delle emozioni è nell’udito e dove sono sparite le melodie e la possibilità di espressione vocale libera.
Il barlume di speranza in un futuro migliore è riposto nelle mani della Salvation, organizzazione della Resistenza che tenta di opporsi al regime dittatoriale; e a Rora, una giovane ragazza sorda cresciuta in una caverna lontana dalla metropoli.
Avvincente e fluido nella lettura, gli autori dipingono immagini dettagliatamente spettacolari capaci di farvi immergere completamente in un futuro tanto assurdo e tanto lontano.
La lettura così ben descritta conduce l’immaginazione a far scorrere nella mentre delle vere e proprie scene di un film.
Salvation è una storia ben raccontata dell’annichilirsi dell’animo umano, di una tecnologia che uccide l’emozioni invece di arricchirle d’arte. Non è il solito fantasy dove le “macchine” si impossessano della società, è la narrazione di come la ricerca del futile possa annientare il senso di realizzazione e unicità di ogni individuo.
Il suono e il canto sono elementi di fondamentale importanza in questo futuro: sono il nucleo delle emozioni, sono il sentire profondo dell’amore, della felicità, del dolore, dell’odio;
sono ciò che muovono la coscienza e lo spirito dell’uomo e di conseguenza se private di espressione sono ciò che possono distruggere un’intera esistenza.
Il futuro dell’umanità è affidato a chi lotta a chi si batte per il rispetto dell’unicità e della libertà di espressione.
E non è forse così anche nel mondo reale?
E’ un libro che può essere anche solo un’appassionante storia ma da lettrice ha stimolato in me riflessioni importanti, metafore e paragoni al nostro oggi.
Viviamo in un mondo dove spesso assomigliare a qualcosa sembra essere la massima aspirazione, ragazzi che nelle aule di canto vogliono cantare come tizio e suonare come caio.
Voci che sono alla ricerca di timbri e suoni puliti, perfetti, esattamente come potrebbe riprodurli un vocaloid.
Assistiamo costantemente a canzoni che scalano il successo con melodie già scritte in passato, invece di destreggiarsi nella ricerca di qualcosa di unico che possa essere rappresentativo della propria personalità artistica. Ascoltiamo con diffidenza la digitalizzazione eccessiva del suono, perché sappiamo quanto l’eccesso possa risultare privo di emotività.
Sono certa che chi si occupa di musica e di didattica combatte ogni giorno per l’autenticità dei suoni, spende le sue energie per aiutare l’artista a splendere delle proprie sfumature e coltiva valori di inclusione che possano far emergere l’unicità. Ho amato il fatto che l’eroina di questa storia è una ragazza sorda, “pura” come viene definita, l’ho trovato la massima esaltazione del diverso, la gemma, la mancanza che diventa risorsa, un concetto per me nobile e prezioso.
E forse, se condividi le riflessioni finora espresse, senza nemmeno saperlo, sei già parte della Salvation: la vera missione quotidiana è difendere il principio di unicità affinché emozionarsi sia l’unica vera esigenza da salvaguardare.